Il rap game della politica

Ospito nuovamente un contributo del giovane adolescente, che risponde all’ineffabile pseudonimo “Topomorto”. Mi aveva già deliziato con una sua inappuntabile dissertazione sull’arte nella coscienza. Qui si cimenta in un tema già affrontato in un altro articolo del blog, concernente il rapporto tra i giovani e la politica. Personalmente avrei voluto condire il tema del rapporto tra politica, musica e mondo giovanile con elementi di storia. Ma lascio perdere, non credo che il giovanissimo Topomorto abbia mai ascoltato, per esempio, Edoardo Bennato in “Sono solo canzonette”. Ma quello era il 1980. Oggi i menestrelli, i nuovi cantautori, sono i “rappers”.

Premessa: per la stesura di questo testo né ho fatto ricerche informative né sono stato particolarmente attento al TG e ai giornali. Questo scritto nasce dal puro apprendimento passivo che un normale giovane subisce a proposito di questioni odierne di politica e società.

C’è solamente una cosa che pare chiara: a nessuno è chiaro niente.

Ognuno ha la sua opinione e pensa fermamente di essere nel giusto. O si è di destra o di sinistra…e il centro non si sa neanche cosa sia. Molte persone fanno infiniti discorsi che portano a chissà che cosa e in Parlamento c’è chi dorme, chi usa il telefono, chi se ne frega, col risultato che non in molti stanno a sentire.

Insomma, il Parlamento non sembra tanto diverso da un’aula liceale. Ma, in tutta onestà, paragonerei la politica in generale ad un’altra cosa: il rap game. Per chi non lo sapesse, il “rap game” è il mondo che sta attorno ai rapper e alle loro rime organizzate in “tracce”, fra rap battles (=competizioni nelle quali i rappers si sfidano in abilità) e dissings (= da “disrespecting”, cioè criticare e/o prendere in giro qualcuno attraverso il testo di una canzone).

Ultimamente, la politica assomiglia troppo al rap game e il rap game è quasi come politica. In entrambi i mondi, ci si scanna a forza di parole e vince semplicemente quello che le usa meglio e vende meglio la propria immagine. Quasi non importa la tua ideologia o il contenuto di ciò che dici: il grande pubblico recepisce solo il modo in cui ti proponi.

E quindi le idee e il governo vero e proprio dove stanno? Bella domanda. Non sono quelli gli aspetti che sono trapelati ai miei occhi finora. La maggior parte degli adulti che ho sentito esprimere un’opinione politica parlano più che altro della persona in sé, di cosa fa e come lo fa. Per questo se mi chiedessero quale sia l’ideologia, ad esempio, di Renzi, io non saprei cosa rispondere. Se mi chiedessero di parlare di lui saprei solo dire, e anche bene, cosa pensa la gente di lui in quanto persona.

E’ giusto che un ragazzo a cui manca poco ad avere il diritto di voto sia così ignorante riguardo le politiche del suo paese? No, ma non è di certo sua la colpa. Come ho spiegato prima, ciò che arriva ai giovani a proposito del governo è ben lungi da essere qualcosa di socialmente utile, anzi, non fa altro che seminare in noi l’idea che sia tutta una gran cavolata. A scuola ci ripetono per anni le stesse cose riguardo la vita di centinaia di anni fa e mai ci spiegano com’è che funzionano le cose ora.

Io credo che sia fondamentale l’inserimento della storia dal 1945 in poi nel programma scolastico obbligatorio, anche a costo di tagliare via qualche civiltà antica che, alla fine, non differisce molto dalle altre. Invece negli ultimi cento anni sono successi fatti mai visti prima che hanno forgiato il cuore di ciò che stiamo fisicamente vivendo ora.

Così forse, un giorno, i giovani prenderanno sul serio il benessere del nostro paese e non lo confonderanno con il grande gioco del rap.

“Questa generazione non crede ai politici o ai santi, credono soltanto ai cantanti”-

– Salmo, S.A.L.M.O.

by Topomorto

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