Giovani e politica: una generazione altrove

Una giovane donna scrive una lettera al suo futuro.

E’ difficile pensare a quale fiducia possa avere un “under 30” nella politica e nelle istituzioni, nel futuro di sé e del Paese. I dati sul fenomeno dei “NEET” = Not (engaged) in Education, Employment or Training” hanno tratti di drammaticità se pensiamo che se ne stimano 100.000 solo in Italia. In Giappone li chiamano “Hikikomori”.

Il complicato tentativo di un pezzo di mondo giovanile di mettersi in gioco, di guardarsi dentro, e di spezzare la trappola dell’autoreferenzialità, del distacco, della lontananza dai bisogni reali in cui la politica e le istituzioni (scuola e università comprese) sono finite nei decenni scorsi, e che è una delle cause della disillusione, della crisi di fiducia e dei conseguenti bassi valori di partecipazione sociale e politica.

“Caro Futuro,
le fiabe iniziano con “C’era una volta…”, mentre io vorrei cominciare con “Ci sarà un domani…”.

Ci sarà un domani… è c’è già un oggi, di milioni di italiani in povertà e disoccupazione giovanile, e non comprendo bene se a qualcuno interessi veramente occuparsene. Dovrebbe essere la “politica”. Ma la verità è che la politica a me non interessa. Sono totalmente disillusa dalle promesse. Non credo ai sogni e diffido dal coltivare speranze. Mi sento trasparente. Siamo completamente abbandonati a noi stessi.

Cosa provo? Dentro di me una forte rabbia mista a tristezza. Ti esprimo, mio Futuro, profonda delusione ed amarezza. Tu dirai che non si può essere così prima di provarci, ma questo è il mio stato d’animo.
Non so se sia vero quello che dicono all’estero dell’Italia, che gli investitori vanno altrove, che non sappiamo rispettare le regole, che pieghiamo le leggi agli interessi di parte, che non vi è certezza del diritto.
Quel che so è che in Italia molti di noi non credono all’Italia stessa.

Da noi crescendo accade che arriva un momento, all’improvviso, in cui diventa impossibile fare finta di niente. E il mondo ti cade addosso. D’improvviso c’è solo il momento in cui ne prendiamo coscienza. Come si fa a fare finta di niente? A scrivere? A fare progetti? A pensare al futuro? A provare gioia? A sentirsi liberi? A sentirsi immuni? A capire? A dormire? A sperare? Come si fa?

Molti di noi credono ancora in valori sani, pensiamo ci possa essere una politica che ascolti la gente e i loro problemi. Sappiamo che potremmo farcela se, e mi rivolgo non solo ai politici ma a tutti gli adulti, potessimo adoperarci tutti per il bene comune. Il fatto è che non crediamo ce ne siano le condizioni.

Lamentarsi non darà nessun risultato, ma la sensazione è che impegnarsi e seguire da vicino la politica rappresenti un’illusione di cambiamento. Infatti, la rifuggo vivendo nel Presente, perché la speranza è una brutta bestia. E tu, vecchio Futuro, lo sai che noi oggi siamo il tuo passato, e siccome non ci piaci non vogliamo darti importanza.

Sai, Futuro, per ora niente casa, poca stabilità e ancora meno certezze. Ho in mente qualcosa da realizzare, ma sono mesi che non riesco a buttare giù niente di diverso da qualche lista. L’Italia la vedo così, come una lista sbiadita e incompleta. Essere donna e sola, semplicemente, succede più spesso di quanto si immagini; amarsi e non sapere come starsi accanto, ma soprattutto doversi rassegnare succede molto più spesso di quanto dovrebbe.

Tu, Futuro, mi potresti dire che se non vado oltre è solo una questione di coraggio. Ma cosa ne sai di me ? Sono qui e faccio come quando avevo dieci anni e nessuno si accorgeva della mia esistenza: osservo. Mi lascio cullare, sperando che un giorno la vita sarà più potente della sfiducia. Consapevole che certi giorni sono troppo prepotenti per non lasciare il segno. Aspetto, sembro immobile, ma è solo un inganno. Tengo gli occhi spalancati e le mani tese. Guardo fuori dalla finestra. Prima credevo che fosse una condanna e invece, finalmente l’ho scoperto, è il potere più grande che ho. Non mi interessa più niente del finale, di sapere come andrà. Non mi importa più di te, Futuro. Ho imparato a convivere con l’incertezza. Posso farcela perché è tra gli eccessi e nel disordine che, spesso, spuntano le soluzioni.

Non credo nella politica basata sul buon senso e sul potere, penso invece che scompigliando le carte si può dare una chance anche a chi ha il ruolo designato di perdente. E c’è un’intera generazione che ha questo ruolo. I giovani che si avvicinano alla politica sono pochi, e secondo me la società è dominata da valori preconfezionati e da pratiche create ad hoc per limitare l’uso del cervello. E’ qui c’è un problema che noi giovani abbiamo ben compreso: la volontà di tenere basso il livello di cultura, perché la cultura è pericolosa.

L’apparente cinismo giovanile, spesso considerato sinonimo di indifferenza, di fatalismo, di mancanza di generosità, in molti casi ha una natura semplice da capire. E’ il frutto acerbo del disincanto che deriva dal non riuscire a far sentire la propria voce e nel vedere sistematicamente deluse le proprie speranze in una società migliore. E così i ragazzi finiscono per rimanere in disparte, sembrano essere altrove. Altrove perché distanti rispetto alla società che li circonda. E fanno scelte estreme: isolarsi o andarsene.

Realisticamente, quasi tutti i giovani (direi a spanne 8 su 10) sono convinti che, per fare carriera, occorra partire. Andarsene. In un altro Paese. Pensano ed immaginano che tu, Futuro, abbia senso altrove. Da ciò il rischio, ben maggiore del conflitto e della protesta (politica, sociale, generazionale), che inseguano il loro sogno lasciando tutti qui: i giovani isolati, gli adulti imbalsamati, gli anziani attoniti, il Paese fermo. Prigionieri del passato cioè senza di te, Futuro.

Alcuni giovani sono attivissimi sui social network e sui blog che si occupano di politica e di problematiche sociali. Attraverso la Rete esprimono a gran voce il proprio dissenso e la propria indignazione verso il malfunzionamento del sistema e le false promesse dei politicanti di turno; non si rassegnano a vivere in una società in cui non si riconoscono e che sembra sorda alle loro attese e alla loro aspirazione al cambiamento.

Perché a novant’anni l’ostilità al cambiamento è giustificabile, a settanta comprensibile, a cinquanta prevedibile, a trenta preoccupante. A vent’anni, imperdonabile. Chi guarda alto oggi? Dove sono i valori, la passione civile, la fiducia negli ideali? E quali ideali poi? Come si vive oggi la dignità delle persone, dell’intera nostra società? Purtroppo sto vivendo in un paese ben diverso da quello che avevo sognato in gioventù. Da un po’ uso l’espressione: strage delle illusioni. Si, a volte penso di assistere ad uno strazio delle aspettative. Mi hai rotto le scatole, Futuro, perché penso di aver diritto al Presente.

Basta risse continue tra opposte fazioni in parlamento. La politica non vuole che scriviamo, che leggiamo, che pensiamo. L’ultima possibilità rimasta è cercare di capire qual è il nostro talento, senza farci ingannare dalla passione per temi che servono solo a distrarre da ciò che serve. Coltiverò la tenacia, consapevole che non tutto arriva subito, ma diffidente di te, Futuro. Coltiverò tecnica e tempismo. Apprezzerò la tolleranza, e mi costruirò un totem di regole, allenando la mente ed il pensiero libero. Amerò la mia terra. Scoprirò risorse. Saprò che è la testa che guida il gioco. E me ne fregherò delle grandi rivoluzioni pubbliche, per cominciare dalle piccole rivoluzioni private.

Chi si arrende a te Futuro, ha già perso. Chi lotta per un proprio Presente avrà forse la chance di costruire il Passato di domani.

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