S.O.S. Lavoro – Help me !

Pubblico un articolo che vuole rappresentare uno sguardo sul problema del lavoro (che manca), visto con gli occhi e la penna di una ragazza di 23 anni. Penso che sia interessante a volte calarsi in questa realtà senza filtri e senza analisi. Buona lettura.

All’ennesimo annuncio recante la fatidica formula: “Cercasi ragazza con esperienza”, quella mancanza torna a galla diventando, per un attimo, così forte da mancare il fiato.
Continuo a ripetermi oramai da qualche tempo, un tempo che sembra interminabile, la stessa frase: “Il mondo è degli ottimisti, i pessimisti sono solo spettatori!” illudendomi di scorgere all’interno di queste semplici parole un po’ di conforto.

La realtà, di là dalle apparenze, è diversa. La realtà è essere se stessi e non nascondere i propri sentimenti o paure.
Osservo la gente che corre, corre, corre… ed io non so più da che parte guardare… agende ricche di appuntamenti e orari prestabiliti più che persone. Tutto questo trantran mi manca, mi manca terribilmente. Quanto ci si può sentire soli anche in mezzo a tanta gente? Quanto si può riuscire a nascondersi dietro un apparente sorriso, senza lasciar trapelare tristezza e disperazione? Quanto ci si può sentire inutili ed inesistenti?

Sono disoccupata.
Ma no, non è il termine “disoccupata” il nocciolo del problema. Non è la precarietà, non sono i soldi, non è l’ambizione a rendermi triste in questo momento. E’ che io non ho il “mio lavoro” in questo momento. Non ho quella girandola che mi mette al centro di un vortice malefico ogni secondo, ma che riesce a darmi un’energia enorme. Non ho la sveglia del mattino che accolgo col sorriso di chi non vede l’ora di andare dove deve andare, non ho la pausa pranzo con le amiche, non ho compiti da svolgere, non ho quella sensazione di imminente catastrofe da evitare che ti fa sentire quasi indispensabile, non ho i colleghi con cui litigare, non ho corsi da seguire con test di valutazione finale, non ho gli occhi che mi fanno male per il troppo tempo passato al pc, non ho gente che mi urla senza motivo nelle orecchie, non ho una macchinetta in cui inserire monetine per comprarmi qualche “schifezza” anti-stress, non ho un capo al quale rendere conto e al quale affezionarmi forse proprio per questo. Non ho il mio posto in ufficio, la mia scrivania, non ho paura di aver sbagliato né speranza di aver fatto un buon lavoro, non ho un mondo da guardare con occhi pieni di curiosità e conoscenza, non ho qualcosa di cui lamentarmi quotidianamente pur sapendo che quando non ce l’avrò mi sembrerà di impazzire.

Proprio come ora, non ho un lavoro, ho tante altre cose lo so. In questo momento, sento che mi manca un pezzo della mia vita! Pieni di dubbi, pieni d’incertezze, la verità è che noi giovani abbiamo più punti interrogativi che punti di riferimento, prigionieri del presente, in un Paese senza prospettive. Forse, avremmo semplicemente bisogno di sentirci più ascoltati, più accettati, più compresi.
Ci sentiamo persi per le strade nel mondo, ci sentiamo persi in una notte trascorsa in discoteca, nella quale siamo riusciti a non pensare a nulla, sembra quasi di volare via, ma il mattino dopo, i problemi ripiombano nella nostra mente come se fossero taglienti lame di coltelli affilati, e ci ritroviamo sempre più soli, sempre più lontani da tutto e da tutti. E così cerchiamo il frammento di vetro in cui ci siamo smarriti senza trovarlo. E’ vero che per ritrovarsi bisogna perdersi, perché le risposte stanno dentro di noi, ma è anche vero che il rischio di perdersi definitivamente, senza possibilità di rimedio, è in agguato dietro l’angolo.
In fondo cerchiamo solo una possibilità. Cerchiamo l’opportunità di esprimerci e di dimostrare il nostro valore, ma in questo periodo a troppi non è concesso. Semplicemente non accade.
Passiamo inosservati, nessuno si accorge di quanto stiamo male. Siamo completamente immersi nel mondo che vive dell’assurdo, che si droga non solo di sostanze stupefacenti, ma di noia, di telegiornali stupidi e falsi, di dibattiti televisivi dove l’imbecillità si manifesta in tutta la sua onnipotenza visiva, siamo sconcertati perché non riusciamo neppure lontanamente a immaginare quale sarà il nostro futuro, che lavoro faremo. Riusciremo a trovarlo? Sarà quello giusto per noi? Ci piacerà? Ci troveremo bene? Saremo all’altezza? Siamo insicuri, candidati a scaricare l’amara insoddisfazione su noi stessi incamminandoci per il viale interminabile della depressione. Ciò che ci circonda scorre davanti ai nostri occhi, velocemente, così velocemente che, mentre tutto va avanti, la nostra sensazione è di rimanere sempre fermi allo stesso punto di ieri. Siamo esploratori di un mondo vuoto e falso, dove l’altra persona è diversa, estranea, lontana. Arriviamo al punto di non saper neppure di chi fidarci, perché ci sentiamo allo sbaraglio, come una nave senza il suo timoniere. E così, i pensieri e i sensi di colpa affollano la nostra mente, aumentano i battiti cardiaci e diventa sempre più faticoso riuscire a respirare.

Avremmo una gran voglia di vomitare fuori tutte le nostre preoccupazioni ma finiamo per tenercele dentro: “va tutto bene” è la risposta di rito.
In generale credo che oltre a noi, anche la maggior parte degli adulti sia distratta da mille cose, da mille ragioni, da mille orizzonti e soprattutto da mille illusioni. E così facendo si è dato fuoco ai nostri sogni, per poi avere il coraggio di chiamarci gioventù bruciata. Eppure non sempre è stato così. C’era un tempo in cui tutto questo non succedeva, e se succedeva era solo in minima parte. Era il tempo in cui quando ci si alzava al mattino si era uniti, e ci s’ingegnava per mettere insieme qualche cosa che la sera potesse sfamare. Era il tempo della fame, dove la fame era il perno della nostra giornata, della nostra realtà. La fame quella che senti dentro, era il catalizzatore di tutti i problemi e il resto non aveva alcuna importanza. Ho nostalgia di quei tempi quando il problema dell’umanità era solo uno e non un milione come oggi.

D’altronde si sa, è proprio sull’orlo del precipizio che l’equilibrio è massimo. Ciascuno di noi, dovrebbe riuscire a trovare il suo equilibrio, non cadendo nel burrone della disfatta e della rassegnazione. Camminare quasi come un equilibrista, su quel filo trasparente e quasi invisibile chiamato esistenza, senza mai cadere riuscendo a piccoli passi ad arrivare dall’altra parte dell’orizzonte.

C’è chi però, pur acquistando la facoltà di comprendere a pieno il suo valore, camminando su quel filo perde il suo equilibrio, cadendo in quel vuoto esistenziale, color nero infinito. Molti di noi stanno smettendo di farlo. Tutto ciò è causato per il troppo egoismo, il troppo orgoglio. Nella vita l’ingrediente segreto resta e resterà sempre la pura essenza dell’umiltà. Sapere cosa si può e cosa non si può fare, dove si può migliorare, dove ci si deve fermare e cambiar strada. Non tutti ne sono capaci, soprattutto nei giorni nostri. Ritrovare se stessi, dopo essersi persi per troppo tempo, è una delle prove più difficili cui la vita ci possa esporre. Reagire, ricominciare, scoprire di riuscire ancora a fare cose che non si facevano più e riprovare la gioia e la soddisfazione provate in principio, non è per nulla scontato.

Bisogna realizzarsi per volersi bene e questo molti di noi stanno smettendo di volersene.

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