Dopo 3 anni e mezzo, pubblico un lavoro che, nella sua semplicità, ritengo sia degno di piena condivisione. Si tratta della tesina presentata all’esame di licenza di scuola secondaria di primo grado da parte di mia figlia Corinna. In molti non conoscono questa storia. Buon merito dell’allora tredicenne aver scovato nella libreria di casa un libro di suo nonno, e averne tratto il presente lavoro.
Introduzione
Un giorno, per caso, ho guardato tra i libri di casa mia e ho letto un titolo piuttosto curioso: “Psicanalisi di Hitler”. Avevo già sentito parlare di psicanalisi e, ovviamente, di Hitler, entrambi argomenti da cui sono sempre stata incuriosita. Per questo, vedendo le due cose insieme, ho capito che avrei dovuto leggerlo. E’ il rapporto delle ricerche di Walter C. Langer, un importante psicanalista americano, sullo studio psicanalitico di Hitler, del 1943. Il lavoro di Langer fu commissionato dall’OSS (Office of Strategic Services), il servizio segreto americano attivo dal 1942 al 1945, da cui derivò la CIA (Central Intelligence Agency). In quegli anni la psicanalisi aveva importanza e diffusione, così L’OSS, quando la Germania nazista era vicina alla sconfitta ma ancora fedelissima al suo capo, sfruttò il metodo psicanalitico per ottenere informazioni. Allora tutto dipendeva da Adolf Hitler e dall’influenza che esercitava sul popolo tedesco. Sino a quel momento gli storici non avevano considerato che potesse essere malato di mente. Avevano analizzato le sue azioni, ma non le sue motivazioni. Non riuscivano perciò a prevedere il suo comportamento perché non seguiva alcuna logica. Il colonnello William J. Donovan, capo dell’OSS, voleva sapere come avrebbe reagito Hitler alla sconfitta, perché era ormai chiaro che sarebbe stata solo questione di tempo. Langer fu incaricato di applicare il metodo psicanalitico, e così fece, ma, una volta terminato il lavoro, era tardi e non serviva quasi più. Questo rapporto rimase segreto negli archivi di Washington per oltre trent’anni fino a quando si decise di pubblicarlo come documento storico. Non è un’analisi sulle idee di Hitler ma un tentativo di ricostruire il suo profilo psicologico mediante lo studio della sua vita.
Capitolo primo
Cos’è la psicanalisi
La psicanalisi (o psicoanalisi) è una tecnica terapeutica nata per aiutare individui nevrotici o turbati emotivamente a superare le loro difficoltà. E’ un processo lungo, durante il quale il paziente, con l’aiuto dell’analista, cerca quei ricordi così dolorosi da essere stati “rimossi” e di cui si vedono solo i sintomi. Questi sintomi, chiamati “nevrosi”, sono la causa del suo male. Il paziente è l’unica fonte di informazioni dell’analista a cui racconta tutti i pensieri liberamente e senza nessun controllo. L’analista cerca di interpretarli spingendo il paziente a ricordare eventi sempre più lontani della sua giovinezza, sino ad avere un quadro dello sviluppo della sua personalità. Queste sono le tappe della psicanalisi:
- Il medico vede che il paziente sta male (sintomi nevrotici).
- Il paziente sta male a causa di ricordi dolorosi rimossi.
- Con il metodo psicanalitico questi ricordi sono riportati alla mente.
- I ricordi riaffiorati possono essere elaborati (interpretazione dei sogni) e con l’aiuto dell’analista vengono resi innocui.
- I sintomi nevrotici scompaiono.
Questa tecnica è applicabile solo a persone disposte a collaborare in una continua evoluzione del rapporto paziente-analista. Non era il caso di Langer. Ma allora: come fece ? Perché poté utilizzarla ?
L’azione fu possibile poiché la psicanalisi si fonda su un metodo deterministico:
Y=f(X) o legge “causa-effetto”.
Basato sui numerosi studi di Freud, il modello prevede la probabilità che certi comportamenti corrispondano a certi tipi psicologici. Perciò guardando i sintomi, cioè gli stessi comportamenti, l’analista può prevedere cosa farà un individuo.
Secondo la teoria freudiana della struttura della personalità e quello che si sapeva di Hitler, Langer lo classificò come PSICOPATICO NEVROTICO. Partendo quindi dalla diagnosi selezionò tutto il materiale che possedeva. Erano interviste di collaboratori e amici, notizie propagandistiche e altre fonti, ma soprattutto si basò sull’analisi del “Mein Kampf” (“La mia battaglia”) e dei discorsi pronunciati dal Führer.
Ecco un esempio del metodo: Hitler scriveva direttamente dell’armoniosa vita familiare in cui sarebbe cresciuto. Questa informazione non poteva essere ritenuta vera poiché i pazienti che manifestavano le caratteristiche di Hitler non erano cresciuti in un ambiente così ordinato e calmo. Nello stesso testo, Hitler narrava di un bambino che viveva in un ambiente familiare difficile, così Langer pensò che potesse essere questa la descrizione della sua famiglia.
Capitolo secondo
Biografia e sviluppo della personalità di Hitler
Secondo la psicanalisi il carattere di un individuo è sempre il prodotto di un processo evolutivo che inizia nella sua infanzia. Cerchiamo quindi di ricostruire il passato di Hitler per quanto poco se ne sappia.
Albero genealogico di Hitler
Il padre, Alois Hitler, era forse il figlio illegittimo di un ricco ebreo. Era arrogante e violento e prima di sposarsi con la madre di Adolf ebbe due mogli, e due figli: Alois junior e Angela. La terza moglie, Klara, più giovane di 23 anni, era addirittura una figlia adottiva di Alois. Era un’instancabile lavoratrice di origine contadina, tranquilla, affettuosa e molto attenta all’ordine e alla pulizia. Alois Hitler adottò Klara (che poi avrebbe sposato) quando era con la prima moglie Anna. Dalla seconda moglie ebbe due figli, uno è Alois Jr., l’altra è Angela, una dei pochi membri della famiglia frequentati da Adolf anche durante il periodo del terzo Reich. Adolf era quindi figlio di Alois e di Klara, e questa coppia ebbe 6 figli, di cui solo due raggiunsero l’età adulta: Paula e Adolf stesso. L’infanzia di Adolf è stata all’inizio caratterizzata da un grande attaccamento della madre, che prima di lui aveva perso due bambini, poi dalla solitudine e dall’idea dell’abbandono dopo la nascita di Edmund e delle sorelle. Cambiò spesso scuola per i numerosi trasferimenti di lavoro del padre. Ebbe un profitto scolastico irregolare. Era bravo in disegno libero, ginnastica e in quelle materie che non richiedevano una preparazione approfondita e specifica. Come succede tra i nevrotici, egli afferrava intuitivamente alcuni principi fondamentali delle materie e riusciva a dare l’impressione di conoscere perché sapeva esprimersi bene. Morto il padre e benché la madre non avesse una rendita adeguata, non fece nulla per trovarsi un lavoro. Con la morte della madre poi finì la sua vita famigliare.
Si trasferì a Vienna dove cercò di essere ammesso all’accademia d’arte e alla scuola di architettura ma fallì. Iniziò così a lavorare come manovale edile e qui venne a contatto con l’ideologia marxista. A questo punto per rafforzare il suo pensiero contro questa ideologia, che non condivideva perché anti-nazionalistica, iniziò a studiare. Studiava non per imparare ma per trovare giustificazioni del suo pensiero. Poi dipinse cartoline con un amico ma non fu mai un lavoratore assiduo, lavorava solo quando era ridotto alla fame e forse non sempre in modo lecito.
Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruolò. Si sa poco della sua carriera nell’esercito tranne che questa gli diede l’idea di appartenenza a una comunità: non era più l’uomo costretto a fare la fila per il pane, vestito in modo dimesso e sporco. Ora indossava un’uniforme. La Germania diventò per lui la “madre ideale” per cui sacrificarsi.
Dopo l’armistizio fu notato da un ufficiale per le sue abilità oratorie, mentre discuteva di politica con i compagni, ed ebbe l’incarico di istruttore di politica. La sicurezza in se stesso a quel punto iniziò a crescere, e fu l’inizio della svolta psicologica.
Elementi di interpretazione psicanalitica di Hitler.
Per un bambino la casa è il suo mondo, e secondo la psicanalisi il mondo esterno degli adulti è giudicato in base a quel mondo dell’infanzia. Per Hitler la casa non fu un luogo sicuro. Infatti, il mondo intero sarà per lui un luogo insicuro dal quale difendersi (attaccando) e rifugiarsi. Si sa che, nei momenti difficili, lui si ritirava in un luogo di montagna chiamato “Nido D’Aquila”. L’insicurezza era causata dalle violenze continue del padre Alois alla moglie e i figli. Quindi Adolf non si identificò nel modello maschile di cui aveva paura. Come tutti i nevrotici, viveva alla continua ricerca del modello di riferimento mancante (il padre) ed era incapace di trovarlo perché continuamente deluso dalle debolezze umane. Quindi Hitler finirà per essere il modello di se stesso, e non a caso si farà chiamare Führer (= guida, riferimento).
FASE DELLA 1a IDENTIFICAZIONE
Il modello iniziale di Adolf è stato Klara: era però un riferimento materno di sottomissione e di masochismo femminile. In questa fase in lui nacque il senso di tradimento.
Tradimento perché scoprì i genitori in intimità violenta e vide che la madre non faceva niente per ribellarsi, poi perché alla nascita del fratellino la madre spostò le sue attenzioni al nuovo nato.
Come reagì ? Staccandosi da ogni rapporto di intimità e spostando gli istinti sessuali su altri organi: gli occhi e la bocca. Da qui nacque: la curiosità per i nudi, il suo “sguardo magnetico”, la paura del cibo, e la parlantina travolgente (egocentrismo verbale) alternata a periodi di assoluto mutismo. In lui c’era poi il senso di colpa.
Aver desiderato la morte del fratellino Edmund, nuovo oggetto di attenzioni della madre, lo portò a considerare i processi mentali come qualcosa di negativo.
Come reagì ? Rifiutando le attività intellettuali. Infatti, iniziò ad andare male a scuola, così come da adulto si fece guidare dall’istinto e da una “voce interiore”.
La psicologia di Hitler è caratterizzata anche dalla paura della morte.
Per un bimbo il pensiero della morte è insopportabile. I vari lutti, ed in particolare la morte di Edmund, portarono il bambino Adolf a reagire pensando di essere protetto dalla Provvidenza, dato che la morte non aveva preso anche lui. Credette di essere speciale. Tutti i bambini si credono speciali ma nei nevrotici questa convinzione rimane anche nell’età adulta. Non essendo credente, cercò l’immortalità come salvatore della Patria tedesca in una prima fase e poi, quando si rese conto che non era possibile, la cercò come Grande Distruttore.
FASE DI TRANSIZIONE: GLI INCUBI
Un disegno di Boris Artzybasheff apparso su Life,
raffigurante gli incubi di Hitler a forma di svastica!
La sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale gli provocò una forte crisi isterica con ricovero in ospedale per cecità e mutismo (occhi e bocca). E’ dopo questa crisi che comparvero gli incubi a peggiorare la sua paura della morte. Nei nevrotici con tendenze masochistiche possono nascere fantasie tali da portare un individuo al cambiamento di carattere.
FASE DELLA 2a IDENTIFICAZIONE E DELLA PROIEZIONE.
Per sopravvivere alle proprie paure Hitler doveva liberarsi dal modello femminile – sottomesso – materno. La soluzione fu di immedesimarsi in primo luogo con il padre e con un’ immagine virile di super-uomo. Questa identificazione avvenne in modo inconscio. In politica l’identificazione avvenne con i nemici della Germania, cioè con gli “aggressori”. E’ con chi avrebbe potuto prendersela ? Dovette trovare un nemico su cui proiettare questa violenza. Questo nemico diventarono gli ebrei. Perché proprio loro ? Nel periodo passato a Vienna si era sentito umiliato dai ricchi ebrei, che vedeva come i corrotti della società decadente austriaca. Aveva ricevuto persino dell’elemosina, ed era nata in lui l’idea che gli ebrei aiutassero la sua parte debole a rimanere tale. Questo processo mentale crebbe dentro di sé fino a fargli provare per gli ebrei l’odio che aveva per il suo passato. Anche la Germania debole e passiva doveva cambiare, abolendo gli ebrei. Questo meccanismo però non funzionò mai completamente nella mente di Hitler: egli, infatti, aveva bisogno di continue riconferme del suo nuovo essere, crescendo continuamente da leader politico a Führer della nazione, fino al sogno impossibile di essere trionfatore per il mondo e per la sua Germania. La guerra era inevitabile.
Capitolo terzo
Come Hitler è conosciuto dal popolo tedesco e dai suoi camerati
Hitler è passato alla storia come l’uomo più venerato e contemporaneamente più odiato che il mondo abbia mai conosciuto. Era convinto di dover portare il popolo tedesco alla supremazia che tutti gli uomini di stato della Germania credevano che essa meritasse, ma che non erano stati capaci di raggiungere. Pensava di essere stato inviato dalla Provvidenza per riassettare l’Europa e sconfiggere il marxismo, incompatibile con la sua idea di supremazia nazionalistica. L’influenza che ha esercitato sul popolo si doveva in gran parte alla convinzione di avere una missione da compiere e dalla capacità di convincere i tedeschi di ciò. Si sentiva un “messia” ma non s’identificava nel Gesù crocefisso, bensì nel Cristo fustigatore dei cattivi costumi contro i mercanti al Tempio. Nonostante avesse avuto un’educazione cattolica, si separò decisamente dalla Chiesa. Egli si credeva “chiamato” con solo per il presente ma anche quale modello per le generazioni future: pensava di dover diventare immortale e quindi qualsiasi realizzazione doveva essere smisurata. I suoi edifici dovevano essere costruiti per durare centinai di anni, le sue strade destinate a durare più di quelle napoleoniche, e il suo mausoleo doveva diventare un luogo di pellegrinaggio per esercitare il massimo effetto psicologico. Nell’economia, educazione, affari esteri, propaganda, cinema, musica, abbigliamento femminile, in tutti i campi riteneva di essere l’autorità indiscussa.
Il popolo tedesco conosceva Hitler quasi esclusivamente attraverso la stampa, rigorosamente controllata da lui stesso. Chi l’ha frequentato lo descriveva come un omuncolo di bassa statura, con i fianchi larghi e le spalle strette dall’abbigliamento e dal portamento non curato. La propaganda, con milioni di figure affisse ovunque, ha fatto di Hitler un uomo affascinante, con uno sguardo profondo in grado di ipnotizzare. Il contatto reale che la stragrande maggioranza del popolo ha avuto con Hitler è stato attraverso la sua voce. La qualità della sua voce non era piacevole, con un timbro rauco che diventava spesso stridulo, ma il potere della sua oratoria era immenso. Sapeva cosa dire, cosa il suo pubblico voleva ascoltare e di conseguenza sapeva scatenare l’entusiasmo. Era un ottimo attore. Programmava i suoi discorsi nel tardo pomeriggio, quando la gente era affaticata. Appariva dal fondo delle sale senza guardarsi intorno e avanzava tra la folla, preferibilmente accompagnato da una marcia militare. All’inizio dell’orazione il suo linguaggio era lento e un po’ impacciato, ma poi diveniva via via più fluido e il volume della voce aumentava fino all’urlo. E tutto ciò che diceva era detto con estrema serietà. Era così convincente che la maggioranza degli ascoltatori poteva credergli. L’Hitler che inizialmente i tedeschi conobbero fu il focoso oratore che instancabilmente passava da un discorso all’altro stremandosi sino all’esaurimento, dicendo solo la “verità” agli ascoltatori, rimproverandoli per i loro difetti ma avendo fiducia in loro per riportare la Germania al ruolo che le competeva.
E’ evidente che conoscesse i fondamenti della Psicologia delle Masse, argomento studiato dalla fine del 19° secolo. Le fondamentali regole di questa disciplina applicate da Hitler sono queste:
- Apprezzamento per l’importanza delle masse nel destino del movimento politico nazista, che aveva bisogno del supporto popolare.
- Riconoscimento del valore dei giovani e quindi dell’importanza dell’ addestramento e dell’ indottrinamento.
- Riconoscimento del ruolo delle donne e identificazione di molte reazioni delle masse con le reazioni femminili, che si aspettano: chiarezza, decisione e forza.
- Capacità di esprimere in un linguaggio semplice e appassionato i bisogni dell’uomo tedesco medio e di offrirgli il modo per soddisfarli.
- Capacità di giustificare qualsiasi azione come mezzo per raggiungere i risultati più alti (il bene della Germania) senza trascurare soddisfazioni anche immediate.
- Desiderio umano di appartenere a un gruppo, quindi bisogno delle masse di riconoscersi in un’ideologia unificante per cui sacrificarsi e lottare.
- Utilizzo della metafora e quindi di immagini semplici e immediatamente comprensibili.
- Utilizzo della tradizione popolare e della mitologia per suscitare forti emozioni.
- Importanza dell’effetto drammatico ed estetico delle sue apparizioni in pubblico:
- un proiettore gioca sulla sua figura solitaria, mentre cammina lentamente… non sorride mai… dietro di lui procedono i suoi fedeli…. ma la sua sola figura è investita dalla luce.
- Valore degli slogan.
- Importanza dell’organizzazione gerarchica.
- Staff di collaboratori fedeli.
- Dimostrazione pubblica della propria efficienza organizzativa: mantenere le promesse.
- Consapevolezza del fatto che la massa non chiede che di essere guidata e trasmettere piena fiducia in lui e l’assoluta dedizione della propria vita alla missione.
- Presentarsi come il portatore dei problemi del popolo suscitando sentimenti di riconoscenza verso di lui.
- Non mostrare mai incertezze emotive.
- Sostituirsi alle coscienze individuali in modo da essere l’unico a stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato.
- Utilizzo della propaganda: se ripeti abbastanza spesso una menzogna la gente finirà col crederci.
- Spirito del “mai morto”: ogni sconfitta è uno stimolo per la rinascita.
- Uso del terrore.
Era però anche l’uomo del mistero. Pochissimi sono i particolari della sua vita conosciuti. E qualsiasi cosa facesse era descritto dalla propaganda come qualcosa di sovrumano. Non mangiava carne, non fumava, non beveva per seguire l’esempio di Wagner e perché aveva forza di volontà e autodisciplina. Non aveva vita sessuale perché lui era al di sopra delle debolezze umane. La Germania era la sua unica sposa. Nonostante ciò era tollerante con le debolezze umane dei suoi camerati più stretti. Esempio di generosità e gentilezza, era animato da un profondo amore per la gente umile. Molte sono le fotografie che lo raffigurano in compagnia di cuccioli e di cani a indicare il suo amore anche per gli animali. Era sobrio. Non vestiva uniformi sfarzose né dava ricevimenti mondani. Anche dopo la conquista del potere continuò ad indossare il vecchio cappotto a palandrana e un cappello a cencio. Era un uomo dall’incredibile energia e resistenza. Lavorava dalle sedici alle diciotto ore al giorno. Non era un comune mortale, nulla lo distoglieva dal darsi da fare per la sua Germania. Trascurava ogni rapporto con la sua famiglia di origine indicando i sacrifici in nome della sua missione: per tutti era però il protettore della famiglia e del focolare tedesco. Paziente, mite, era percepito incredibilmente come “uomo di pace”. Era coraggioso quando serviva, come dicono le numerose storie sugli atti eroici che avrebbe compiuto durante la prima guerra mondiale.
La propaganda ha dipinto Hitler come super-uomo, ed effettivamente ci sono stati momenti in cui questa immagine si avvicinava alla realtà. In questi periodi lavorava senza quasi dormire. Dimostrava capacità di concentrazione e sapeva problemi apparentemente complessi rendendoli semplici. Prendeva decisioni rapide e pretendeva che i suoi ordini venissero eseguiti immediatamente. Mostrava un grande rispetto verso gli altri: non cominciava a mangiare finché l’intero staff non fosse stato servito. Dotato di grande memoria, raccontava episodi del suo passato e si divertiva a intrattenere i suoi ospiti con imitazioni spassose.
Ma Hitler non era solo questo. Vi sono aspetti della sua personalità come lo hanno conosciuto i suoi camerati che non concordano con la sua immagine. Tranne che nei periodi di attività frenetica, era disordinato, sempre in ritardo anche in occasioni ufficiali. Aveva paura ad andare a letto da solo e dormiva male tanto da prendere tutte le notti un sonnifero. Era incapace di lavorare con costanza, detestava la scrivania e prendeva in considerazione solo i lavori che lo interessavano. Partecipava raramente alle riunioni e spesso abbandonava la sala preferendo discutere dei problemi singolarmente con i membri dello staff. Anche se si presentava come uomo deciso, prendeva delle decisioni con difficoltà e non accettava nessun consiglio. Era abituato a risolvere le situazioni all’ultimo momento in attesa della sua “voce interiore” che lo doveva ispirare. I periodi di attesa potevano durare da pochi giorni fino a parecchie settimane, e lui era di malumore e solitario: momenti ideali per rifugiarsi nel Nido D’Aquila. Ma quando la soluzione gli appariva chiara provava un urgente bisogno di esprimersi. Ed ecco di nuovo il Führer di sempre.
Questa è la psicanalisi di cui il Servizio Segreto americano aveva bisogno: gli strateghi militari non comprendevano certe decisioni illogiche di Hitler, e solo l’analisi psicologica consentì di comprendere perché le decisioni dei nazisti non procedessero in modo logico. Hitler infatti non esaminava i problemi, aspettava che le soluzioni arrivassero dall’inconscio e solo poi ne cercava le giustificazioni. Famose sono le sue sfuriate: strillava, urlava, e balbettava. Le crisi esplodevano senza preavviso e per i più diversi motivi, ma svanivano senza lasciare traccia: improvvisamente si metteva a parlare di altro come se nulla fosse successo.
Capitolo quarto
Le conclusioni di Langer
Le ipotesi formulate dallo psicanalista sul destino di Hitler dal momento dell’analisi (1943) in poi furono queste:
- potrebbe morire per cause naturali: evento poco probabile visto che godeva di buona salute (in realtà Langer non sapeva che Hitler aveva una salute difficile).
- potrebbe rifugiarsi in un paese neutrale: improbabile perché niente distruggerebbe il suo mito più di una fuga.
- potrebbe cadere ucciso in battaglia: probabile perché aumenterebbe il suo mito.
- potrebbe venire assassinato: probabile perché aumenterebbe il suo mito e gli garantirebbe fanatismo.
- potrebbe impazzire: possibile di fronte alla sconfitta, ma le probabilità diminuiscono man mano che invecchia (a causa dell’indebolimento dell’energia mentale che alimenta il desiderio di onnipotenza).
- I militari tedeschi potrebbero ribellarsi e catturarlo: possibilità remota visto il ruolo unico esercitato dal dittatore.
- potrebbe cadere nelle mani degli alleati: eventualità remota nel caso di ritorno alle vecchie tendenze masochistiche; in alcuni casi clinici questi avvenimenti portano alla resa.
- Hitler potrebbe suicidarsi: eventualità più probabile, perché potrebbe superare la paura della morte.
Secondo Langer, indipendentemente dall’esito finale, il comportamento di Hitler sarebbe stato sempre più nevrotico: sentendosi progressivamente più vulnerabile sarebbero cresciuti i lati crudeli del suo carattere.
PREVISIONE: non potendo essere ricordato come salvatore della Patria, cercherà di divenire immortale come Grande Distruttore fabbricandosi trionfi spietati sugli ebrei. Apparirà meno in pubblico, si rifugerà nel Nido D’Aquila aspettando di sentire la voce interiore. Gli incubi saranno più frequenti e alla fine cercherà la via che secondo lui lo porterà verso l’immortalità.
Capitolo quinto
Le mie conclusioni.
Alla luce dell’analisi di Langer e dai fatti concreti della vita di Adolf Hitler, concludo, come l’analista, che il Führer era uno psicopatico nevrotico.
Molte persone credono che tutti noi, in un certo senso, potremmo diventare degli Hitler, e non li biasimo di pensarlo perché in ogni essere umano c’è un lato oscuro ed animale che nonostante l’evoluzione ancora riposa dentro di noi in un qualche angolo remoto del nostro inconscio. Un lato che, volendo, può eruttare all’improvviso in una qualsiasi situazione.
Però, come ci insegna la psicanalisi, il processo di formazione del carattere è dettato soprattutto dall’infanzia dell’individuo e da come vengono elaborati ed interpretati gli avvenimenti in questo lasso di tempo. Il nostro Adolf ha avuto un’infanzia estremamente complicata e, come abbiamo constatato, ne ha risentito inconsciamente.
Quindi, credo che non sia vero che propriamente tutti noi possiamo diventare degli Hitler, poiché Hitler era definitivamente uno psicopatico e non tutti noi siamo degli psicopatici. A questo proposito mi sembra che sia una buona cosa il fatto che la maggior parte delle persone siano normali, e grazie al Cielo la maggior parte hanno avuto un’infanzia tale da non aver sviluppato comportamenti nevrotici a questi livelli.
Ciò nonostante, ognuno è padrone delle proprie azioni e le persone che sostenevano Hitler erano persone perfettamente normali.
Allora perché lo sostenevano?
Secondo me è proprio perché erano normali, perché, grazie alle tecniche psicologiche propagandistiche e al carisma del Führer si metteva da parte la ragione, come faceva Hitler stesso, e si dava spazio ad una leadership esterna, al pensiero di un uomo che, proprio per com’era, pareva il giusto salvatore della Germania dopo la crisi che l’aveva colpita.
Corinna Cirincione
Fonti:
- The mind of Adolf Hitler, di W.C. Langer, 1972, Basic Books Inc.
- Freud per cominciare, di R. Appignatesi e O. Zarate, 1994, Feltrinelli
- Wikipedia
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