Oltre la formazione: come il nuovo Accordo Stato-Regioni 2025 può (davvero) evolvere la sicurezza ?
Una questione di sguardo
La sicurezza è ancora troppo spesso trattata come un problema da gestire, più che una qualità da coltivare. L’Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2025, pur rappresentando un importante passo normativo, rischia di rinforzare una visione prescrittiva e lineare, se non reinterpretato alla luce di ciò che davvero genera comportamenti sicuri: il senso, la relazione e il contesto reale. Con uno sguardo psicologico e ispirandomi al pensiero sistemico e ai paradigmi delle Non-Technical Skills, vorrei proporre un’analisi critica e costruttiva di questo accordo. Non basta dire cosa si deve fare: serve ascoltare ciò che le persone fanno ogni giorno per tenere insieme sicurezza, produttività e umanità.
1. Cultura della prevenzione: la formazione come leva o come mantra?
L’accordo apre con affermazioni perentorie: formazione continua, inclusiva, personalizzata. Parole che fanno vibrare corde giuste. Ma nella pratica, la formazione rischia di diventare un evento amministrativo, più che un’esperienza trasformativa. La psicologia dei sistemi socio-tecnici ci insegna che la sicurezza non si genera solo dal sapere, ma dal senso condiviso del lavoro e dalla qualità delle relazioni tra chi lo realizza. Serve una formazione che coinvolga, emozioni, faccia riflettere. Che racconti storie, più che slide. Perché la sicurezza non si insegna, si vive.
2. Contenuti e durata: la gabbia dorata della standardizzazione
Durate minime, contenuti obbligatori, percorsi predefiniti per ogni ruolo: ottimo per l’Excel del compliance manager, meno per l’apprendimento autentico. Quando si standardizza il contenuto, si presuppone che il lavoro sia anch’esso standard. Ma il lavoro reale – il WAD, Work-as-Done – è vario, ambiguo, contestuale. Le competenze pratiche non nascono da ore in aula, ma da esperienze guidate, dialoghi riflessivi, e dai cosiddetti “errori sicuri”. Non è un caso che la formazione più efficace sia quella che lascia spazio all’errore e alla sperimentazione – ciò che le Non-Technical Skills chiamano adaptive expertise.
3. Modalità di erogazione: quando il mezzo si mangia il messaggio
L’accordo riconosce l’e-learning e la videoconferenza, ma ne limita l’uso. È comprensibile: c’è il rischio di fare formazione low-cost, fast-learning e zero cambiamento. Ma il problema non è la tecnologia: è l’intenzionalità formativa. Un buon e-learning può stimolare più riflessione di un’aula passiva. Una formazione efficace si misura con il cambiamento che genera, non con la modalità. Serve chiedersi: ‘cosa cambia nel comportamento reale dopo questo corso?’ Non ‘che piattaforma usiamo?’
4. Verifica dell’apprendimento: misurare per rassicurare o per apprendere?
L’obbligo di verificare l’apprendimento è giusto, ma resta ancorato al paradigma del controllo. Un test non ci dice nulla su come una persona reagirà sotto pressione, come comunicherà un rischio, come affronterà un dilemma operativo. Le NTS – Non Technical Skills – ci insegnano che la competenza si vede nelle situazioni complesse: leadership, teamwork, decision making. Eppure nessuna verifica ne misura davvero l’evoluzione. E se invece chiedessimo al lavoratore di vivere e poi raccontare una situazione in cui ha gestito un rischio ?
5. Addestramento: il gioiello nascosto dell’Accordo
L’obbligo di addestramento pratico in azienda, tracciato e supervisionato, è uno dei punti più coerenti con la Safety proattiva. Qui si tocca il lavoro reale, si trasmettono saperi impliciti, si crea contesto. Il luogo dell’addestramento è anche quello dove emergono le strategie di compensazione, la micro-resilienza quotidiana. Serve però superare l’idea che l’addestramento sia solo ‘provare a fare qualcosa’. È un momento di socializzazione, costruzione identitaria e regolazione emotiva. Anche questo è apprendimento.
6. Docenti e formatori: esperti di contenuto o facilitatori di processo?
Il formatore deve avere requisiti tecnici e didattici. Giusto. Ma basta? La formazione trasformativa richiede anche intelligenza emotiva, ascolto attivo, capacità di gestire il gruppo. Serve passare dal ‘docente esperto’ al facilitatore di riflessione: una figura capace di generare apprendimento relazionale, sostenere il confronto tra pari, valorizzare le esperienze. Questo è il formatore del futuro. Anzi, del presente – se vogliamo davvero cambiare qualcosa.
7. Controllo e sanzioni: la sicurezza del foglio firmato
Il sistema sanzionatorio previsto dall’accordo rischia di incentivare la burocrazia, più che la qualità. Quando il rischio percepito è la multa, il focus si sposta sulla tracciabilità formale. Ma la sicurezza nasce da motivazioni intrinseche, non da obblighi. Se il senso della formazione è evitare la sanzione, allora siamo nel campo della compliance-driven safety. La sfida è: come generare engagement e non solo adempimento?
Conclusioni – La sicurezza non si insegna, si coltiva
L’Accordo ASR 2025 può essere un’occasione. Ma solo se viene riempito di contenuti vivi, di intenzionalità formativa, di ascolto delle pratiche reali. Serve uno spostamento: dalla sicurezza come conformità, alla sicurezza come qualità emergente del lavoro ben fatto. Serve il coraggio di passare da formatori a coltivatori di senso, da progettisti a facilitatori di apprendimento. La sicurezza proattiva – quella vera – nasce dove c’è fiducia, riflessività e ingaggio. E va oltre il bisogno di firme per dimostrare che esiste.